sabato 7 novembre 2015

Arto Paasilinna - I veleni della dolce Linnea

Mai toccare le vecchiette, o gli esiti potrebbero essere letali. Questo l’ammonimento di Arto Paasilinna, autore finlandese da me molto amato già grazie alla lettura dello straordinario L’anno della lepre, romanzo umoristico a sfondo ecologista che è un perfetto manifesto del suo stile. Ne I veleni della dolce Linnea (sempre pubblicato da Iperborea nel suo caratteristico formato alto e stretto) ci troviamo alle prese con una dolce e arzilla vecchietta, la Linnea del titolo, la classica nonnina della porta accanto, che vorrebbe restarsene tranquilla nella sua casa di campagna in compagnia del suo gatto per gli anni che ancora le rimangono da vivere ma che invece si ritrova perseguitata dal nipote nullafacente, Kauko, in compagnia dei suoi accoliti Jari e Pera, sbandati, ubriaconi e tossici dediti a ogni sorta di furto, bravata e vessazione (due di loro hanno già un omicidio sul groppone). I tre pendagli da forca (che passano il tempo rubando le automobili e le sfasciano appositamente contro gli alberi del bosco, non prima di aver messo un maialino in bagagliaio per ridurlo a poltiglia e festeggiare a birra e costicine) le devastano la casa e le sottraggono la pensione, trovando anche da ridire sul fatto che è troppo bassa per il suo status di vedova di un colonnello della Seconda Guerra Mondiale («la politica sociale di questo Paese di stronzi non valeva proprio un cazzo»), e a un certo punto Kauko la costringe a firmare un testamento in cui lo nomina suo erede: a questo punto Linnea è costretta dalle circostanze a far risorgere da dentro di sé un istinto di sopravvivenza e capisce di dover fuggire per salvarsi, ben decisa a vendere cara la pelle. Raggiunge in città un suo vecchio amante, un medico in pensione («il bello dell’andare a letto con un medico è che non insozza niente»), dove, oltre ad aiutarlo nell’intrattenere i pazienti chiacchierando delle svariate malattie che li assillano («lei stessa aveva un’esperienza diretta di diversi acciacchi, quindi le conversazioni nella sala d’attesa erano sempre molto stimolanti»), si mette a creare una mistura di veleni letali, di cui riempie una siringa da portare nascosta nel suo manicotto di pelliccia. Ovviamente i tre giovani la andranno a cercare, ben decisi a farla fuori, ma, in un modo o nell’altro, visto che oltre che stupidi sono anche maldestri, falliscono in ogni loro intento, rimettendoci uno dopo l’altro le penne, mentre l’apparentemente candida Linnea (lei sì dotata dell’istinto del killer infallibile!) passa indenne attraverso qualsiasi avversità, fino a ritrovarsi salvata dalle acque del Baltico da una nave posamine dell’Unione Sovietica. Con il suo tono distaccato e surreale, inserendo una grande dose di ironia scanzonata ma allo stesso tempo malinconica e sinistra, Paasilinna racconta il divario generazionale tra anziani e giovani (il romanzo si conclude con Linnea e il capitano sovietico che brindano e si trovano d’accordo nel dire «che è difficile, soprattutto per gente attempata, vivere in un mondo governato da una gioventù così gretta»), dipingendo questi ultimi come delinquenti, svogliati, stupidi e malvagi: il suo pessimismo diventa totale quando, nell’epilogo, scopriamo che l’intero popolo finlandese è condannato all’inferno per i secoli dei secoli. Eccezionale la descrizione del ciclo di vita del virus dell’HIV passato da una prostituta turca a Jari e poi, dal cadavere di questi, a un’anguilla gigante di ritorno in Finlandia dopo aver deposto le uova nel mar dei Sargassi, catturata, cucinata e affumicata da un pescatore di 93 anni, Albin Vassberg («i virus contratti dalla lucciola turca avevano resistito durante tutto il loro periplo, dalle notti brave di Stoccolma fino a lì, ma quando entrarono in contatto con i potenti succhi gastrici di Albin, perirono tutti di colpo senza lasciare la minima traccia della loro immonda esistenza»).

Nessun commento:

Posta un commento