giovedì 30 ottobre 2014

Claudio Antonio Testi - Santi pagani nella Terra di Mezzo di Tolkien

L’opera di Tolkien è pagana o cristiana? A questa domanda ricorrente cerca di rispondere questo saggio di Claudio Testi, segretario dell’Istituto di studi tomistici di Modena e direttore della collana “Tolkien e dintorni” della casa editrice Marietti, insomma un personaggio di tutto rispetto e un tolkieniano vero, verso cui tutti dovrebbero provare una grande riconoscenza per aver contribuito a portare in Italia i maggiori saggi tolkieniani a livello internazionale che andassero al di là del provincialismo di casa nostra che continua ancora a chiedersi se Tolkien è di destra o di sinistra. E il risultato è talmente accurato, serio e convincente che d’ora in poi, dopo Difendere la Terra di Mezzo di Wu Ming 4 e questo Santi pagani nella Terra di Mezzo, senza scomodare il vecchissimo e fondamentale Invito alla Lettura di Tolkien di Emilia Lodigiani, leggere qualsiasi altro studio italiano in circolazione risulterà imbarazzante per tutti. Testi (che è filosofo ma dimostra di conoscere a menadito l’intero panorama di studi tolkieniani, a cominciare da quelli di Tom Shippey e Verlyn Flieger) realizza una critica al riduzionismo di una certa critica che vorrebbe imbrigliare Tolkien in una chiave interpretativa a senso unico e finisce per ridurre la vastità della prospettiva tolkieniana: da una parte la lettura confessionale che molti circoli e università cattoliche fanno considerando l’opera di Tolkien e il mondo da lui creato (la Terra di Mezzo) perfettamente combacianti con la teologia cristiana; dall’altra, la lettura di chi invece sottolinea tutte le divergenze e i punti di incompatibilità tra la teologia cristiana e la costruzione del mondo tolkieniano, per non parlare degli autori neopaganeggianti (soprattutto di casa nostra) che si rifanno al pensiero tradizionale di Evola e Guénon e che, secondo Testi, si limitano a citarsi sempre tra di loro e non si sono mai confrontati con i grandi protagonisti del dibattito internazionale. La problematica è infatti quanto mai complessa: lo stesso Tolkien infatti scrisse in una lettera che Il Signore degli Anelli era un’opera fondamentalmente religiosa e cattolica, ed è innegabile che al suo interno siano presenti tematiche cristiane come la carità e la Provvidenza, ma allo stesso tempo non è possibile fare dei suoi personaggi delle allegorie confessionali perché Tolkien odiava esplicitamente le allegorie (e ci sono dei particolari della sua creazione poetico-letteraria, come la reincarnazione degli elfi, che sono irriducibili a una teologia cristiana). Frodo, sebbene esemplifichi una situazione sacrificale, non è allegoria di Gesù Cristo (in quanto non è senza peccato, non risorge e vive come un fallimento il non essere riuscito a compiere la sua missione), il lembas non è allegoria dell’eucarestia (collegamento proposto da un lettore senza che Tolkien ne abbia mai avvallato l’interpretazione) e Galadriel non è la Vergine Maria (anche se la Vergine Maria è sicuramente tra le fonti di Galadriel, ma non bisogna dimenticare che Galadriel sta facendo penitenza nella Terra di Mezzo per aver seguito Fëanor nella ribellione ai Valar e nel massacro dei Teleri, così come raccontato nel Silmarillion). Inoltre, gli eroi tolkieniani sono mossi da ragioni immanenti completamente diverse da quelle trascendenti degli eroi cristiani, e l’idea della filosofia della storia come caduta, così come è presente nel Silmarillion, non ha nulla di essenzialmente cristiano, essendo propria di altre culture. A complicare il tutto, nel Signore degli Anelli manca ogni riferimento alla religione, a un culto organizzato, a un clero e a una chiara visione dell’aldilà, in controtendenza anche al paganesimo storico (men che meno si può parlare di una prospettiva politeista o atea), per non parlare della sua concezione della magia, che ha un significato tendenzialmente negativo, visto che il suo esercizio può portare a un sempre crescente desiderio di potere. E forse non tutti sanno che lo stesso Tolkien ha inserito la parola “pagano” (heathen) in due occasioni all’interno del Signore degli Anelli, a proposito di antiche pratiche rituali di suicidio e immolazioni, vero e proprio anacronismo di cui l’autore era perfettamente consapevole perché inerenti alla sfera etico-morale del suo Legendarium. Testi dimostra che in realtà l’opera di Tolkien è allo stesso tempo pagana e cristiana, ma non in modo contradditorio e dialettico come per esempio sostiene Wu Ming 4: anzi, per Testi l’orizzonte totalmente pagano del Legendarium tolkeniano si ritrova senza incoerenze in completa armonia con il piano soprannaturale della rivelazione cristiana. Allo stesso modo, Testi non segue neppure Shippey nell’interpretare il Legendarium come sorta di prefigurazione della successiva rivelazione cristiana, perché questo avrebbe il limite di rinchiudere il mondo tolkieniano in un rigido orizzonte “cronologico” che non spiegherebbe l’anacronistica presenza di tanti elementi moderni: la mitologia tolkieniana infatti non narra tanto di un’epoca precedente il cristianesimo, ma esprime «un piano naturale, quasi a-storico, nel quale possono così essere rappresentati tutti i problemi dell’uomo in quanto tale, siano questi stati posti in tempi precristiani, cristiani o post-cristiani». È quasi come se Tolkien avesse avuto la necessità di creare un mondo “a religione zero” dove far muovere i suoi personaggi all’interno di determinate tematiche (soprattutto quella della morte, che secondo Tolkien era la principale del Signore degli Anelli), e tutto questo si vede per esempio nel suo atteggiamento nei confronti del Beowulf, il più importante poema in lingua anglosassone e probabilmente l’opera letteraria più amata da Tolkien, scritta da un monaco cristiano con un background pagano che non nega qualsiasi validità alla precedente cultura pagana ma desidera dipingere la nobiltà dei tempi antichi: «Tolkien vede quindi nel Beowulf un magnifico tentativo di recuperare il bene e la verità che l’uomo, fuori dalla rivelazione cristiana, era riuscito a conquistare con le sole forze della ragione e della fantasia mitopoietica». L’idea più geniale di Testi è quella di dimostrare che solo un cattolico come Tolkien poteva costruire un mondo a tutti gli effetti pagano che non entrasse in contraddizione con un’idea cristiana di mondo, inserendo quest’interpretazione nella tipica tendenza della teologia cattolica di accogliere e recuperare da sempre il bagaglio di un passato pagano che ha preparato l’avvento della Rivelazione (San Tommaso d’Aquino è stato capace di usare la filosofia pagana neoplatonica e aristotelica per l’elaborazione della teologia cristiana), a differenza di quanto fatto dalla riforma luterana, la cui cesura nei confronti del paganesimo è stata netta (sola fide, sola scriptura, affermava Lutero, che negava sia l’idea di preparatio evangelii e la stessa salvezza per i pagani). Ecco quindi «che la fondamentale cattolicità dell’opera di Tolkien non va rintracciata in riferimenti espliciti alla Fede o in allegorie interne, ma risiede paradossalmente proprio nella peculiare non-cristianità e “laicità” del suo mondo, un universo essenzialmente pagano espressione di un piano naturale, che tuttavia è in armonia con quello soprannaturale della rivelazione». Una bellissima interpretazione, che rende pienamente giustizia all’incredibile complessità e ricchezza del Tolkien scrittore e non lo imbriglia all’interno di schemi interpretativi che ne limitano e umiliano la portata.

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