giovedì 26 luglio 2007

Paulo Coelho - Il Cammino di Santiago

Ho letto questo libro stimolato dal mio prossimo viaggio verso Santiago di Compostela. Cosa c’è di meglio, mi sono detto, di un libro sull’argomento che porta la firma di uno dei più acclamati scrittori a livello planetario? Mai ragionamento fu più errato. Questo primo romanzo di Paulo Coelho è stato una cocente delusione. Il protagonista, un aspirante mago che pecca di superbia e fallisce sul filo del traguardo, si ritrova impegnato in un percorso spirituale e iniziatico all’insegna della ricerca interiore, per ritrovare la spada che gli permetterà di concludere la sua iniziazione al Cammino della Tradizione e diventare un vero Maestro dell’Ordine Ram (Rigore, Amore, Misericordia). Accompagnato da Petrus, una specie di Virgilio dantesco, che gli insegna, attraverso vari esercizi, il modo di raggiungere l’ascesa e di combattere le tentazioni, l’autore immagina un viaggio in cui ogni tappa è una prova in grado di donare nuova saggezza al pellegrino, attraverso una serie di esercizi e rituali tra il magico e il New Age. Il problema è che, alla fine, questo non è un romanzo, ma piuttosto un manuale di istruzioni e sentenze che vengono declamate anziché essere argomentate. Un misto di concetti alchemici, mistici ed esoterici (nel finale c’è perfino un rituale templare!), a uso e consumo di una massa di lettori totalmente digiuna e affamata di religioso, ben disposta ad accettare qualsiasi cosa le venga somministrata, purché venga da una firma famosa. La struttura è talmente semplice e schematica da risultare irritante (ogni capitolo termina con una nuova pratica e una riflessione del protagonista che scopre quanto poco ne sapeva al riguardo), le leggende legate al Cammino sono solamente accennate. Tanti i buoni propositi nel tentativo di fornire una via di crescita spirituale alla tormentata esistenza dell’uomo contemporaneo, la cui chiave sta nella consapevolezza delle scelte, nel prefiggersi degli scopi e una scala di priorità, combattendo i propri demoni nascosti e il proprio egoismo che causa la superficialità. E naturalmente, in mezzo a tutta questa grazia, il nostro eroe non può fallire nella ricerca della spada.

venerdì 20 luglio 2007

Nick Hornby - Come diventare buoni

Ho sempre amato Nick Hornby per l’umorismo, la leggerezza, la cultura e la profondità dei suoi libri. Trovo davvero stimolante che questo romanzo sia narrato in prima persona dal punto di vista di una donna, proprio perchè l’autore è celebre per i suoi personaggi maschili nevrotici e infantili, in cui tutti gli uomini possono più o meno identificarsi senza vergogna (e, perché no, anche con una certa dose di fierezza). Anzi, per l’occasione Hornby abbraccia temi più maturi, nel caso specifico le problematiche di una perfetta famiglia di classe media allo sfascio. Ed è proprio qui che comincia il romanzo, con la protagonista Katie, medico devoto al bene degli altri, che in un parcheggio di Leeds telefona al marito per chiedere il divorzio, insoddisfatta della sua vita matrimoniale. Il marito, David, è un uomo cattivo, cinico ed eternamente di cattivo umore, che non risparmia mai le parolacce davanti ai figli, autore di continui anatemi al veleno dalle colonne della sua rubrica “L’uomo più arrabbiato di Holloway”. Katie ha anche un amante, Stephen, più giovane di lei e molto attento alle sue necessità. Ma proprio nel momento che sembra segnare la fine del loro matrimonio, David conosce uno strano soggetto, una sorta di guaritore che si fa chiamare BuoneNuove, che guarisce con la semplice imposizione delle mani la schiena dolorante di David e gli trasmette tutte le sue buone idee su come salvare il mondo. Da questo momento David diventa un’altra persona, esageratamente comprensivo, rilassato, pieno di nauseabonda bontà, al punto di dispensare cibo ai più deboli (dona ottanta sterline a un mendicante di strada) e di iniziare la creazione di un progetto di aiuto per i senzatetto, cercando di convincere persino altre famiglie del quartiere ad accettare persone sfortunate in casa propria. Così Katie si ritroverà a vivere in casa non solo BuoneNuove, ormai confidente spirituale e collega del marito, ma anche un senzatetto chiamato Scimmia. In realtà David non si rende conto che il suo nuovo “essere buono” sta minando l’unità familiare in misura ancora peggiore: non esita infatti a donare i giocattoli dei propri figli a dei centri di assistenza, li obbliga a frequentare i bambini che non sopportano solo per farli crescere nell’amore reciproco, causando reazioni totalmente opposte: Molly, guarita anch’essa da BuoneNuove, compiace eccessivamente il padre e frequenta una bambina insopportabile e puzzolente, Tom comincia a rubare ai suoi compagni di scuola per rifarsi degli oggetti perduti e picchia un ottuso amichetto. La stessa Katie rimpiange il vecchio David, il suo umorismo abrasivo e le sue cattiverie gratuite, e si ritrova a domandarsi se essere buoni significa aiutare il prossimo a scapito quello che hai costruito fino a quel momento o se saper crescere una famiglia in maniera serena e coerente. David e BuoneNuove (che stano scrivendo anche un’opera che nelle intenzioni vorrebbe essere definitiva, intitolata appunto “Come essere buoni”) diventano sempre più patetici e ridicoli nella loro smania di aiutare il prossimo, perdendo di fatto il contatto con la realtà, fino al punto in cui si scopre che il guaritore odia sua sorella ed esplode per telefono mandandola cordialmente a quel paese. Questo fa aprire gli occhi a David. Finché, una sera, di fronte ad un forte temporale che rompe le tubature della casa, Katie si rende conto che David è pronto ad affrontare il nubifragio pur di tutelare la sua famiglia, e capisce di amarlo. Insomma, non esistono persone buone, ma esiste la responsabilità. Hornby è molto attento ai riflessi che i divorzi hanno sui figli, sulle dinamiche che gli egoismi dei genitori mettono in moto. E non credo che sia un messaggio da poco, in una società come la nostra.

mercoledì 18 luglio 2007

Barbara Zolezzi e Angelo Maresca - L’Avogador e i delitti della Vera da Pozzo

Venezia, Natale 1574. Per incarico segreto del Consiglio dei Dieci, l’Avogador Paolo Priuli, magistrato della Repubblica Serenissima, deve far luce su una serie di delitti che colpiscono i giovani rampolli dell’aristocrazia veneziana per opera di un misterioso serial killer che compie anche delle mutilazioni sui corpi ma li ripone sempre sui bordi di un pozzo. Contemporaneamente, Priuli si trova a dover fare i conti con un’ancor più misteriosa e compromettente lettera anonima, che lo accusa di essere il vero responsabile dei delitti (con la scusa della vendetta per l’impossibilità di avere figli). Verrà aiutato dal suo speziale, il giudeo Abrahim, maestro esoterico e grande mago, che partecipa alle vicende personali ed investigative del suo padrone; e si varrà del conforto della cortigiana Tiziana Orio, donna colta e intelligente, che conosce quasi tutti i segreti dei patrizi veneziani. Così, tra personaggi inventati e storici (la cortigiana Veronica Franco, i pittori Tintoretto e Veronese), e persino attraverso il resoconto di un rituale di magia ebraica, l’Avogador giungerà al disvelamento del caso. Questi gli ingredienti del giallo storico di Barbara Zolezzi e Angelo Maresca: un libro di facile lettura, istintivo e colloquiale, senza alcuna pretesa ma in fondo piacevole e divertente.

martedì 10 luglio 2007

Sarah Dunant - La cortigiana

Sacco di Roma, 1527: tra le fiamme del saccheggio, la bellissima cortigiana Fiammetta Bianchini pensa di ingraziarsi gli invasori mettendo a disposizione la sua casa, ma l’intervento di due megere luterane che la sfregiano e le rasano i capelli mette praticamente fine alla sua professione. E così, insieme al fedele servitore nano Bucino, ingoia una manciata di gioielli e fugge dalla città, riparando a Venezia, città libera e ricca e luogo ideale per chi è in cerca di favori e protezioni. La sua bellezza è però deturpata e la sua salute compromessa, e il nano Bucino, che pure è intimorito dagli edifici altissimi e dall’acqua dei canali di Venezia, si deve dare un gran da fare per ricavare denaro per la sopravvivenza. Lentamente Fiammetta recupera le forze e la bellezza, grazie all’aiuto di una guaritrice cieca dai poteri misteriosi, la Draga, che si prende cura delle sue orribili ferite, ma viene tenuta in scacco da Pietro Aretino, potentissimo cortigiano riparato anch’egli a Venezia, il quale vuole servirsi di lei alle sue condizioni utilizzando l’arte dell’ingiuria. Capita però un colpo di fortuna destinato a cambiare le loro sorti: la scoperta che il libro dei sonetti di Petrarca di cui sono entrati in possesso durante la fuga da Roma, altro non è che l’unica copia esistente delle incisioni oscene di Giulio Romano accompagnate dai sonetti lussuriosi dello stesso Aretino. Grazie ad esso, Bucino è in grado di ricattare l’Aretino e di farsi promettere di trovare un protettore per la sua padrona, assieme all’inscrizione nel registro delle cortigiane. Tutto va bene (il pittore Tiziano non si dà pace finché non prende Fiammetta a modello nientemeno che per la Vergine di Urbino), finché Fiammetta commette l’errore decisivo, innescando una catena di eventi inarrestabili: si innamora del giovane e focoso aristocratico, Vittorio Foscari. Bucino si offende mortalmente e cade ammalato di un’infezione all’orecchio, e viene guarito dalla Draga, di cui finora ha diffidato. Desideroso di ringraziarla, il nano la segue fino a Murano, dove scopre essere una donna normale e bella, non quella cieca e gobba creatura che ha conosciuto per anni. Convinto della colpevolezza della Draga nel furto dei gioielli che ha quasi rovinato lui e la sua padrona, e desideroso di vendetta per la recente sparizione del prezioso volume dei sonetti di Petrarca, Bucino le devasta lo studio, portando alla luce numerosi scheletri di neonati, segno eloquente della sua attività illecita nel provocare aborti. La Draga viene dunque imprigionata, e Bucino scopre che il volume in realtà lo aveva donato a Foscari la stessa Fiammetta. Roso dal rimorso, Bucino cerca in qualunque modo di salvare la guaritrice, di cui ormai si è innamorato (aiutato in questo da Fiametta, che mette le sue grazie a disposizione di una delle cariche più importanti della città). Ma non c’è niente da fare, se non ottenere che il supplizio venga mitigato. Melensissimo il finale in cui si scopre che la Draga avrebbe voluto far parte della vita di Fiammetta e Bucino e affida loro la figlia, chiamata lei stessa Fiammetta. Credo che la cosa migliore sia far raccontare tutta la storia in prima persona al nano, figura abbastanza originale per la sua capacità istrionica che lo rende poeta intellettuale e cialtrone sordido e volgare allo stesso tempo. Se l’errore dell’innamoramento di Fiammetta è intrigante ma non molto originale (basti pensare alla Relazioni pericolose, in cui Valmont viene sconfitto proprio perché si innamora), devo comunque dire che il romanzo non decolla mai e il ritmo latita paurosamente, non aiutando di certo la lettura. Per non parlare dello stimolo alla riflessione, non proprio la principale qualità di Sarah Dunant.

lunedì 2 luglio 2007

Arturo Pérez-Reverte - Capitano Alatriste

Primo romanzo della saga del Capitano Alatriste, taciturno veterano della guerra delle Fiandre nella Spagna imperiale del XVII secolo, che vanta un titolo che non gli è stato mai dato (ma se non altro non si vergogna di ammetterlo). Un eroe memore delle gesta di D’Artagnan (o sarebbe forse meglio dire di Athos) ma al contempo del tormento di Don Chisciotte, con il fascino del cavaliere antico e la malinconia solitudine del reduce. Lo scenario è la Madrid del 1623, nell’epoca che dà il via alla decadenza della Spagna come nazione più potente d’Europa (la sua fine verrà descritta magistralmente nel bellissimo “Il maestro di scherma”). A narrare la vicenda è Iñigo Balboa, giovincello la cui educazione è stata affidata dal padre morente ad Alatriste durante una campagna militare nelle Fiandre, utile espediente narrativo che al contempo include una componente educatrice se non addirittura iniziatica (“la vera patria di ogni uomo è la sua infanzia”). Ritroviamo Alatriste assassino mercenario, disposto ad uccidere per quattro maravedi al soldo dell’implacabile inquisitore Emilio Bocanegra e di due misteriosi uomini mascherati. Obiettivo, l’uccisione di due viaggiatori inglesi(che si rivelano ben presto essere il duca di Buckingham e il principe di Galles arrivato in incognito a Madrid per conoscere la sua promessa sposa). Ma Alatriste, fedele a un suo personale codice d’onore, risparmia loro la vita quando uno dei due chiede pietà non per sé ma per il suo compagno. Questo gesto lo porterà in un turbine di malaugurate vicende, ritrovandosi a dover affrontare le ire dell’Inquisizione e del pericoloso assassino italiano Gualtiero Malatesta. Una vicenda che si sviluppa tra viottoli bui, taverne in cui si scrivono sonetti tra scazzottate e bottiglie di vino, cortili dove le rappresentazioni delle commedie di Lope de Vega finiscono a coltellate, che condurrà Alatriste all’incontro con il conte di Olivares, favorito del giovane re Filippo IV e vero reggitore dell’impero spagnolo. Molti i calchi effettuati dall’autore su Dumas: in primis quello dell’affascinante bambina Angelica da Alquézar, figlia del diabolico segretario del re, Luis de Alquézar, bionda e crudele, ricalcata sul personaggio di Milady; ma anche Alatriste che viene mantenuto dalla locandiera come D’Artagnan in “Vent’anni dopo”; e il colloquio finale tra Alatriste e il Conte di Olivares, tra l’uomo di spada ed il ben più pericoloso diplomatico, come quello tra D’Artagnan e il cardinale Richelieu nei “Tre moschettieri”, con la similitudine tra il salvacondotto donato dal futuro re Carlo d’Inghilterra ad Alatriste e l’analogo biglietto di pugno di Richelieu che D’Artagnan esibisce allo stesso cardinale come propria garanzia. Particolari che non fanno che accrescere il valore di un romanzo che, tra rimandi e citazioni letterarie del filone cappa e spada, finisce con l’essere profondamente legato alla conoscenza delle vicende storiche spagnole. E per questo, purtroppo, non è difficile prevederne lo scarso successo in Italia.